Infortunio sul lavoro: quando il concorso colposo della vittima è giuridicamente irrilevante

Infortunio sul lavoro: quando il concorso colposo della vittima è giuridicamente irrilevante
27 Maggio 2020: Infortunio sul lavoro: quando il concorso colposo della vittima è giuridicamente irrilevante 27 Maggio 2020

Con l’ordinanza n. 8988/2020, la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di infortunio sul lavoro e concorso colposo della vittima.

Nel caso di specie un operaio era deceduto in conseguenza dello scoppio del fusto metallico nel quale stava pompando olio idraulico con un compressore, invece che con una pompa manuale. 

Il fusto era stato in precedenza modificato artigianalmente, proprio per consentire l’impiego del compressore, e tale modifica risultò determinante per la causazione dell’incidente.

I familiari della vittima avevano convenuto dinanzi al Tribunale di Brescia la società datrice di lavoro della vittima, chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

Il Giudice di primo grado aveva accolto la domanda, ma attribuendo alla vittima un concorso di colpa del 50%, poi ridimensionato nella misura del 30% dalla sentenza di secondo grado.

La Corte d’appello di Brescia aveva infatti osservato che la vittima era un operaio esperto: per tale ragione, la sua condotta fu impudente. E se anche gli fosse stato imposto di operare in quel modo, avrebbe dovuto e potuto legittimamente rifiutarsi di eseguire quella lavorazione.

La predetta sentenza è stata successivamente impugnata per cassazione.

I ricorrenti, tra le altre, avevano lamentato la violazione degli artt. 1218 e 2087 c.c., osservando come, da una parte, il datore di lavoro non aveva fornito la prova di avere attuato la specifica procedura scritta che imponeva l’uso esclusivamente di pompe manuali per il travaso dell’olio idraulico e, dall’altra, che non vi era prova che il lavoratore avesse seguito corsi di addestramento per le operazioni di travaso dell’olio idraulico né, tantomeno, che fosse stata la vittima ad eseguire le modifiche artigianali al fusto esploso.

In mancanza di tali prove, la responsabilità per l’accaduto si sarebbe dovuta ascrivere interamente all’impresa datrice di lavoro, in ossequio ai consolidati principi giurisprudenziali in tema di "rischio elettivo" del lavoratore.

I Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso dei familiari.

La Corte ha infatti ricordato quali sono in casi in cui la vittima di un infortunio sul lavoro può ritenersi responsabile, in tutto od in parte, del danno da essa stessa sofferto. 

I pochi e semplici principi in materia possono essere riassunti come segue:

a) la vittima di un infortunio sul lavoro può ritenersi responsabile esclusiva dell’accaduto solo quando abbia tenuto "un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute" (cfr. ex multis: Cass. civ., Sez. L -, Sentenza n. 798 del 13/01/2017);

b) il datore di lavoro risponde solo dei rischi professionali propri (e cioè insiti nello svolgimento dell’attività lavorativa) e di quelli impropri (e cioè derivanti da attività connesse a quella lavorativa), ma non di quelli totalmente scollegati dalla prestazione che il lavoratore rende in quanto tale;

c) se il rischio cui si espone il lavoratore è privo di connessione con l’attività professionale, ed il lavoratore sia venuto a trovarsi esposto ad esso “per scelta volontaria, arbitraria e diretta a soddisfare impulsi personali”, quello non è più un c.d. "rischio lavorativo", ma diviene un c.d. "rischio elettivo" e cioè “creato dal prestatore d’opera a prescindere dalle esigenze della lavorazione, e quindi non meritevole della tutela risarcitoria od assicurativa da parte dell’assicuratore sociale” (cfr., ex multis: Cass. Civ., Sez. L, Sentenza n. 16 del 04/01/1980; Cass. civ., Sez. L -, Ordinanza n. 7649 del 19/03/2019).

Pertanto, il c.d. “rischio elettivo” sussiste in presenza di un atto del lavoratore volontario ed arbitrario (ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive), che mira alla soddisfazione di impulsi meramente personali, in totale mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa.

Ricorrendo tale ipotesi, la condotta del lavoratore spezza il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l’infortunio e la responsabilità datoriale viene meno per mancanza dell’elemento causale.

Ciò premesso, vi sono comunque delle situazioni in cui, anche a fronte di una condotta imprudente della vittima dell’infortunio, è escluso qualsiasi concorso ex art. 1227 c.c..

Ciò avviene, ad esempio, quando l’infortunio sia stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali.

In questo caso il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l’eventuale imprudenza del lavoratore non è più "causa", ma degrada ad "occasione" dell’infortunio. 

Il concorso è escludo altresì quando l’infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza.

Il datore di lavoro infatti ha il dovere di proteggere l’incolumità del lavoratore nonostante l’eventuale imprudenza o negligenza di quest’ultimo, con la conseguenza che la mancata adozione da parte datoriale delle prescritte misure di sicurezza costituisce in tal caso l’unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso.

Infine, non vi è concorso quando l’infortunio sia avvenuto a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro.

In tal caso, infatti, se è pur vero che concausa del danno è l’imprudenza del lavoratore, non è men vero che causa dell’imprudenza è la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di istruire adeguatamente i suoi dipendenti (ex art. 40 c.p.).

Tornando al caso di specie, la Corte d’appello di Brescia aveva accertato in punto di fatto che il datore di lavoro non aveva eseguito i doverosi controlli sui macchinari, non aveva fornito le opportune istruzioni al lavoratore e non gli aveva impartito alcun corso di formazione per quel tipo di lavorazione.

Ricorrevano, dunque, tutte e tre le ipotesi sopra elencate, nelle quali l’eventuale imprudenza del lavoratore degrada a “mera occasione dell’infortunio”.

La sentenza impugnata aveva dunque effettivamente violato l’art. 1227 c.c., facendone applicazione in una fattispecie in cui mancava il nesso di causalità tra la condotta della vittima e l’infortunio.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di secondo grado, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, per il riesame del fatto controverso alla luce del principio di diritto:

Nel caso di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza; oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntuale del quale si sia verificato l’infortunio; od ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio, ed è perciò giuridicamente irrilevante".

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